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Su Boe Muliache e S’Erchitu: anche la Sardegna ha i suoi animali mannari

today16 Maggio 2024 54

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Su Boe Muliache, anche in Sardegna esistono persone capaci di trasformarsi in animali. Con lui anche S’Erchitu

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    Su Boe Muliache e S’Erchitu: anche la Sardegna ha i suoi animali mannari Egidiangela Sechi, Enzo Asuni

Su Boe Muliache e S’Erichitu sono, rispettivamente un bue mannaro e un torno mannaro. Sicuramente figure meno note nel panorama internazionale rispetto alla più famosa figura animalesca mannara, quella del lupo. La Sardegna è costellata di leggende che in tanti conoscono e altre che qualcuno non conosce per niente. Se nel resto del mondo vampiri e lupi mannari sono famosissimi in ogni dove, le leggende sarde spesso e volentieri restano confinate all’Isola o addirittura a una zona dell’Isola. Se prendiamo la figura del lupo mannaro la potremmo definire come un essere umano, che in presenza di determinate condizioni (la luna piena) compie una metamorfosi di un certo tipo e diventa un lupo. In Sardegna esistono diverse storie che parlano di persone capaci di trasformarsi in animali. Una delle più famose risulta su Boe Muliache che non è un lupo mannaro ma un bue mannaro.

Nell’immagine S’Erchitu, il toro mannaro che in tanti confondono con su Boe Muliache (Immagine generata con l’intelligenza artificiale)

Su Boe Muliache, il bue mannaro in Sardegna

Si configura come una metamorfosi che colpisce solo il sesso maschile e anche in questo caso, come del caso del canide più famoso la trasformazione è solo notturna. Non si configura come una trasformazione volontaria ma si tratta di una vera e propria condanna in quanto soggetto a un orribile destino, al potere diabolico o divino a seconda delle varianti della storia. Tendenzialmente su Boe Muliache è semplicemente un malcapitato senza colpe particolari.

La storia racconta di un uomo, che per un destino avverso sia condannato a trasformarsi in un bovino tra la mezzanotte e l’alba. A detta di qualcuno non si tratta di una vera e propria trasformazione ma la spiegazione sarebbe differente: lo spirito dell’uomo in questione lascerebbe il suo corpo durante la notte per “imbovarsi” e arrivare nel corpo di un bue. Secondo alcuni invece è lo spirito del bue che si incarna nel corpo dell’essere umano. Secondo i racconti, a prescindere dal fatto che uno si incarni nell’altro e viceversa questo uomo-animale si aggirerebbe nella notte producendo muggiti spaventosi. Al suo passaggio si sentirebbe il rumore delle catene che sfregano sulla terra.

La storia in un libro

Su contusu.it leggiamo una testimonianza di Enrica Delitala tratta dal suo libro “Fiabe e leggende nelle tradizioni popolari della Sardegna”: “Il boe muliache è un uomo che diventa bue perché questo è il suo destino. Si racconta che un giorno un ladro di bestiame sia andato a rubare. Ha visto un bel vitello grasso e se ne è innamorato; se l’è portato via e nella sua stalla l’ha legato per le corna.
Pensava di ucciderlo l’indomani per far festa con gli amici. L’indomani mattina va per ucciderlo e trova un uomo legato per le corna: era uno del paese che egli naturalmente conosceva.
Era un uomo infelice, che sapeva di avere questa malattia e se ne doleva. Allora il ladro di bestiame si è informato, gli ha fatto fare la cura del caso, chiesa e cimitero, e così l’uomo è guarito perfettamente”.

Su Boe Muliache non è non è l’unico animale mannaro sardo: troviamo anche S’Erchitu

S’Erchitu, immagine generata con l’intelligenza artificiale

Nell’Isola non sarebbe l’unico animale mannaro. Esisterebbe S’erchitu o Su Boe Erchitu, che a differenza del primo si configura come un toro mannaro. Se il boe muliache era semplicemente un malcapitato, in questo secondo caso quella de S’erchitu risultava essere una vera e propria condanna di impronta divina. L’uomo colpito dalla maledizione si trasformerebbe in un toro con un aspetto orribile: corna d’acciaio o (in altre versioni) con due candele accede sulle corna stesse. La metamorfosi colpisce chi deve espiare una colpa grave come un omicidio che in qualche modo non è stato punito nella vita terrena e si interrompe solo attraverso il taglio netto delle corna del toro mannaro o spegnendo le candele su queste ultime.

Su unionesarda.it, nella sezione leggende e tradizioni leggiamo: “La caratteristica “lugubre” di S’Erchitu è che nel suo vagare è solito fermarsi davanti alle case di uomini e donne dal destino ormai segnato. Lì, muggisce tre volte per annunciare che la persona che abita la casa morirà nel giro di un anno.

Così racconta S’Erchitu Enrica Delitala

In quasi tutti i villaggi della Sardegna credevano un tempo, e alcuni credono ancora, che l’uomo sia soggetto a trasformarsi in animale, specialmente di notte, in Erchitu, per castigo di Dio.
Questo animale misterioso va coi demoni, e in quel luogo disgraziato in cui muggisce tre volte insieme, deve succedere qualche grande disgrazia (o morte improvvisa o grave malattia).
Questi uomini che sono così condannati da Dio, quando la moglie e tutta la famiglia dormono, si alzano pian piano, si vestono, aprono la porta piano piano, e vanno dietro alla compagnia dei diavoli che stanno fuori.

A poco a poco le gambe gli si fanno di toro, sulla testa gli vengono due grandi corna con la punta di acciaio, le braccia diventano zampe e si fanno tutte pelose, da dietro gli esce la coda, e cominciano a emettere muggiti che incutono terrore.
Si raccontano tante storie e tanti fatti su questo animale. Le donne lo riconoscono alla voce e al passo. La mattina appena levate, subito vanno dove è la comare e, impaurite, si mettono a fare mille racconti su questo animale.
E si sentono voci come – Da qui a tre mesi morirà un prete, un padre di famiglia, ecc. Stanotte è passato l’Erchitu proprio vicino a casa. Ero addormentata e mi hanno svegliato i muggiti che spaccavano il cielo”.

S’Erchitu: Un altro racconto dal libro

Nella stessa fonte leggiamo della storia di due studenti: Questi due studenti stavano in una stessa casa e dormivano in uno stesso letto. Uno di questi, si chiamava Antonio, era solito lasciare il letto da mezzanotte alle quattro di mattina. Il compagno non sapeva cosa pensare e non riusciva a spiegarsi le ragioni di questo alzarsi.
Domanda al compagno perché si alzasse sempre a quell’ora fissa e perché ad un’ora fissa ritornasse.

Ma Antonio non gli diceva niente.
Alla fine, dopo tanti mesi, un giorno racconta al compagno la storia della sua sorte disgraziata:
– Io come tu sai, ho un vizio troppo cattivo, ed è il vizio dell’ira. Un giorno, giocando tra compagni, vengo a parole ingiuriose con uno, e io, che non potevo sopportare le parole ingiuriose che mi aveva detto, gli sto sopra e lo uccido.

I compagni che mi temevano non hanno rivelato nulla, perché tante volte li avevo minacciati. Ma poiché la giustizia del mondo non mi ha potuto castigare, mi ha castigato la giustizia del Cielo. E in che modo, povero me! Quattro o cinque giorni dopo quel fatto, una sera, mentre ero coricato, sento bussare forte alla porta. Mi alzo e chiedo chi sia. – Il re -, mi risponde una voce che mi fa fremere come una canna. Mi vesto e apro pronto a consegnarmi alla giustizia; ma era la giustizia divina.

A capo di tutti era un diavolo grande con due corna, uno portava il tamburo, erano vestiti tutti di colore diverso; dalla bocca e dalle narici gli uscivano fiamme di fuoco e in fronte avevano un corno di acciaio.
Subito mi viene un tremore, un dolore a tutta la persona, mi sento mancar le gambe, due corna grandi mi sento uscire sulla fronte, le mani si fanno piedi di bue e tutto mi averto peloso e con una coda lunga. La bella compagnia mi mette in mezzo e comincia, a suon di tamburo, a beffarmi portandomi in processione per tutto il paese.

Dove comandava il capo, io dovevo muggire; la compagnia si fermava e faceva una sonata a gloria del povero che doveva morire.
La mattina tornavo come prima in forma umana, alle quattro. Ora conosci il motivo per cui dalle dodici alle quattro manco dal letto. Però, visto che ti ho detto questo, ti dico tutto. Ci vuole un giovane coraggioso perché mi possa salvare, e deve troncarmi con un colpo solo quelle grandi corna che ho in testa.
Ma mi pare impossibile trovare un uomo tanto forte e coraggioso da non aver paura di vedermi trasformato in quel modo. Né io vorrei che un giovane rischiasse tanto per me.

– Mi dispiace, Antonio, non aver saputo questa cosa prima di oggi; forse oggi saresti sano e tranquillo come desideri. Voglio tentare di salvarti, io e nessun altro, voglio avere questo onore. Vai e stai tranquillo: se la medicina è quella, tu tornerai sano come prima.
Stabilisci un’ora; questa notte stessa si deve fare questa faccenda.

Dapprima Antonio non voleva acconsentire; ma, dietro le insistenze di quello, risponde: – Va bene; se sei uomo, stanotte all’una mettiti in tale canto perché io non mancherò di passare di là. Guarda che ti getterò un paio di grugniti; tu non avere paura; afferra una scure di acciaio e colpisci forte quanto puoi le corna. Se il colpo riesce mi rivedrai come mi vedi ora.

Il giovane, che si sentiva pieno di coraggio, fa tutto come Antonio gli ha detto, rassegnato a ricevere perfino la morte per l’amico.
Cerca una grande scure di acciaio fino, e con quella si mette la notte in un canto che gli aveva indicato Antonio.
All’una si sente un suono di tamburo e di trombe; si accorge che si stava avvicinando la maledetta truppa. Dopo un po’ vede questo toro, grande quanto una casa a pian terreno, con due corna come forche.

Quando stava passando vicino a quel canto, presso il compagno, getta due muggiti da far tremare. Ma quello non ha paura; alza la scure con tutte e due le mani, la abbassa di furia sopra le corna dell’Erchitu, e le sradica entrambe.
Le corna cadono a terra e, che meraviglia! Antonio ritorna in forma umana e gli amici si abbracciano sani e allegri.
E da quel giorno Antonio è stato libero dal castigo.
Le corna le prendono e le conservano per medicina, per il dolore alla milza.”

A cura di Enzo Asuni, social media manager del Gruppo L’Unione Sarda nella rubrica Social Trends.

 

 


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